Due Papi elevati contemporaneamente agli onori degli altari davanti a centinaia di migliaia di fedeli in piazza San Pietro e a due miliardi di persone collegate via radiotelevisione; un Papa felicemente regnante che presiede quella che definisce una "festa della fede" insieme al suo predecessore - oggi Papa emerito -, a centinaia fra cardinali e vescovi e migliaia di sacerdoti; decine di delegazioni ufficiali presenti alla cerimonia, testimoni di un accadimento che travalica i confini di una Chiesa e dello stesso spirito religioso: sono molti i simboli che si sono intrecciati ìeri mattina davanti agli occhi di un'umanità stupita prima ancora che partecipe; e forte è la tentazione di soffermarsi solo sugli aspetti più superficiali di un evento mediatico fortemente coinvolgente.
Soccorre Papa Francesco, che parla'dei due nuovi santi come di due testimoni delle tragedie del XX secolo, che però "non ne sono stati sopraffatti", e che "hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria". Ecco allora che la cifra di questa duplice santità si svela nella sua compiutezza: la storia del mondo moderno e la vita della Chiesa, profondamente intrecciate e quasi avviluppate l'una con l'altra, l'una dentro l'altra. Non si tratta qui di "battezzare" quello che è stato definito il "secolo breve": sarebbe una pretesa di carattere integralista, e certamente non è ciò che ha voluto fare Papa Francesco proclamando la santità dei suoi due predecessori. Egli ha voluto invece riconoscere la caratteristica che accomuna il percorso pastorale di entrambi.
Andrea Riccardi, che all'autorevolezza dello storico aggiunge la sensibilità del fondatore di un movimento ecclesiale - la Comunità di Sant'Egidio - sgorgato dal Concilio e profondamente radicato nella realtà ecclesiale di oggi, ha indicato il Vaticano II come l'anello di congiunzione fra i due santi Roncalli e Wojtyla, e ha scritto che essi "in modo diverso, hanno rimesso la Chiesa al centro della storia e della vita". Ciò vuol dire che questa collocazione privilegiata non era - non è - un dato scontato né una condizione acquisita una volta per tutte. Per mantenerla, la Chiesa aveva ed ha bisogno di santi, uomini coraggiosi, ha detto Papa Francesco, testimoni "della bontà di Dio, della sua misericordia". La testimonianza dei due nuovi santi - è sempre il Papa che parla - si è manifestata in modo indelebile nel contributo che essi hanno dato "alla causa dello sviluppo dei popoli e della pace"; ed è qui forse la chiave dell'ampio riconoscimento dell'eccezionalità della loro vita, anche oltre il perimetro della Chiesa che oggi ne annuncia la santità.
Nel passaggio del millennio, che san Giovanni Paolo II ha voluto contrassegnare con la celebrazione del Grande Giubileo, l'umanità è sfuggita alle angosce della guerra fredda ma non ha ancora acquisito tutti i criteri interpretativi per muoversi nell'era della globalizzazione senza confini che le si è spalancata dinnanzi, per cui il conflitto armato appare sempre possibile (e spesso è una sanguinosa realtà) e la povertà affligge intere regioni del pianeta ed anche vasti strati sociali dei paesi "ricchi". Ecco allora che l'esempio dei due Papi, protagonisti delle ultime grandi stagioni della vicenda geopolitica, può servire ad illuminare il cammino; e la Chiesa, "esperta in umanità" lo indica ai contemporanei offrendo loro "ciò che possiede in proprio: una visione globale dell'uomo". Sono, queste ultime, parole di Paolo VI, il Papa della "Populorum progressio", un altro grande testimone del XX secolo. Francesco ha presieduto la celebrazione di ieri impugnando il pastorale di Montini; e così è come se un quinto Papa fosse idealmente presente sul sagrato di San Pietro.
Guido Bossa