Canti, balli, cibo e allegria. La festa per la fine del Ramadan, il mese di digiuno prescritto dalla religione islamica, sabato sera ha colorato piazzale Tevere, alla periferia Ovest della città. Alla manifestazione, organizzata dalla comunità di Sant'Egidio, hanno partecipato le famiglie italiane e straniere della Scuola della pace realizzata dalla comunità, gli anziani e le persone del quartiere e alcuni rifugiati. Presenti anche alcuni amministratori, tra i quali il sindaco, Massimo Depaoli, l'assessore ai servizi sociali, Alice Moggi e l'assessore alla cultura, Giacomo Galazzo, che hanno commentato sui social network la loro partecipazione all'evento.
«È stato bello partecipare alla festa - ha scritto Moggi - organizzata dalla comunità di Sant'Egidio, che da più di dieci anni promuove la Scuola della pace, per la fine del Ramadan. Oltre ai bimbi e alle famiglie che frequentano la Scuola, c'era un bel gruppo di profughi, accolti nei Comuni vicini. Non riesco a sintetizzare in poche parole gli interventi che ho avuto il piacere di ascoltare, due comunità religiose differenti che hanno voluto condividere questo bel momento. I muri si abbattono ogni giorno, anche grazie a tante persone che conoscono il valore dello stare insieme».
«Non ero mai stato a una festa di fine Ramadan. - ha invece scritto su Facebook Giacomo Galazzo - Ci sono andato stasera, in piazzale Torino, ed è stata una bellissima occasione di incontro e conoscenza. Grazie alla Comunità di Sant' Egidio, per questo invito e per tutto quello che fa». Nel corso della festa, oltre agli amministratori comunali, hanno preso la parola anche esponenti delle varie comunità straniere presenti a Pavia. Anche alcuni residenti della zona hanno partecipato all'iniziativa e condiviso momenti di convivialità con gli altri.
Ogni anno la comunità di Sant'Egidio organizza una festa in coincidenza con la fine del Ramadan per tentare di abbattere i muri che stanno crescendo, sempre più elevati, tra i cittadini italiani e gli stranieri, soprattutto quelli di fede islamica. Un modo per dimostrare che il terrorismo non c'entra con la religione degli uomini di buona volontà.
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