Il Papa è ad Assisi per la giornata di preghiera per la pace con i leader religiosi di tutto il pianeta, a trent'anni dallo storico incontro convocato da Giovanni Paolo II nella città di san Francesco il 27 ottobre 1986. Nella mattina di martedì 20 settembre il Pontefice è arrivato in elicottero a Santa Maria degli Angeli e si è poi recato al sacro convento, dove si è unito ai numerosi rappresentanti di Chiese, confessioni e religioni giunti da ogni parte del mondo per dar vita all'appuntamento «Sete di pace. Religioni e culture in dialogo», apertosi domenica 18. Dopo averli salutati individualmente il Papa ha pranzato con loro e con un gruppo di rifugiati provenienti da Paesi che vivono la tragica esperienza della guerra.
E proprio al dramma di queste «terre dove giorno e notte le bombe cadono» e «uccidono bambini, anziani, uomini, donne» Francesco aveva fatto riferimento nella messa celebrata a Santa Marta all'inizio della mattinata, prima di lasciare il Vaticano alla volta dell'Umbria. «Non possiamo chiudere l'orecchio al grido di dolore di questi fratelli e sorelle nostri che soffrono» ha esortato, ricordando che la guerra, anche se materialmente distante dalle nostre latitudini, è comunque «vicinissima» perché «tocca tutti» e «incomincia nel cuore».
Per questo, ha incalzato, «dobbiamo pregare oggi per la pace»: non «per fare uno spettacolo» - ha precisato - ma per vivere una «giornata di preghiera, di penitenza, di pianto», una giornata «per sentire il grido del povero». Dio infatti, ha ricordato, «è Dio di pace, non esiste un dio di guerra: quello che fa la guerra è il maligno, è il diavolo, che vuole uccidere tutti». Ecco perché «oggi il mondo avrà il suo centro ad Assisi, ma sarà tutto il mondo a pregare per la pace» ha rimarcato il Pontefice, suggerendo a tutti di dedicare «un po' di tempo» alla preghiera e alla riflessione.
E la preghiera è al centro dell'incontro che apre il pomeriggio del Papa ad Assisi. Francesco si unisce agli altri esponenti di Chiese e confessioni cristiane per una celebrazione ecumenica nella basilica inferiore, mentre ciascun gruppo religioso prega in luoghi differenti. Al termine la cerimonia comune nella piazza inferiore di San Francesco, con la firma di un appello per la pace.
Nei giorni in cui a New York scoppiano ordigni che seminano terrore e le cronache parlano solamente di attentati e scontri armati, quando la parola pace sembra una chimera, qualcuno ad Assisi prova a ricostruire invece che a distruggere. Attraverso gesti di solidarietà e di amicizia, come il pranzo che martedì 20 settembre Papa Francesco ha condiviso con i partecipanti all'incontro internazionale «Sete di pace: religioni e culture in dialogo» promosso dalla comunità di Sant'Egidio, dalla diocesi assisiate e dalle famiglie francescane.
Gente che è scappata dai bombardamenti, dalla miseria, dalla violenza. Drammi che sembrano dimostrare che la pace è impossibile. Eppure, c'è chi nonostante tutto ci crede ancora. A cominciare proprio dal Pontefice e dai numerosi leader religiosi riuniti per l'incontro, giunto alla sua giornata conclusiva.
La memoria torna a quel 27 ottobre di trent'anni fa, quando Giovanni Paolo ii convocò per la prima volta la giornata mondiale di preghiera per la pace, alla quale parteciparono i rappresentanti di tutte le grandi religioni mondiali. In quel giorno erano più di un centinaio: cinquanta per le Chiese e le comunità cristiane e sessanta per le altre religioni. Trent'anni dopo, martedì 20 settembre, erano oltre cinquecento.
L'appuntamento voluto da Papa Wojtyla segnò l'inizio dello spirito di Assisi, diffusosi ovunque dalle grandi metropoli di ogni latitudine fino ai più piccoli villaggi del pianeta. E oggi i capi religiosi sono tornati nella cittadella di san Francesco per dire al mondo che la pace è possibile, che insieme si può. Qui ad Assisi si sono fatti nuovamente voce di chi non ha voce, ricordando al mondo che la religione può costruire ponti per favorire il dialogo e la fraternità universale.
Le aree calde del mondo, dal Medio Oriente, all'Africa, all'Asia, sono state idealmente presenti al momento conviviale con il Papa nel refettorio del sacro convento. C'erano ventisette rifugiati, vittime delle guerre e della miseria, in cerca di un futuro migliore. Dodici sono ospiti della comunità di Sant'Egidio a Roma, giunti attraverso corridoi umanitari in collaborazione con la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) e la Tavola valdese; dieci sono assistiti dal Centro di accoglienza per profughi (Cara) di Castelnuovo di Porto; cinque dalla Caritas di Assisi. Tra loro, Rasha e la figlia Janin di sette anni, di origini palestinesi, in Italia da febbraio. In fuga da un campo profughi alla periferia di Damasco, in Siria, hanno raggiunto il Libano. Ci sono anche cinque cattolici di rito orientale di origini siriane: Fadi e Ruba, con il figlio undicenne Murkus, scappati da Hasake. E poi Osep, Kevork e Tamar, di rito armeno, che testimoniano la tragedia della città di Aleppo. Paulina ed Evelyn vengono invece dalla Nigeria, dove Boko Haram ha seminato il terrore. Fuggiva dalla guerra anche l'eritrea Enes. Cercava migliori condizioni di vita il ventitreenne Alou, sopravvissuto al drammatico viaggio in mare sui barconi in partenza dalla Libia per la Sicilia.
Tra gli ospiti del Cara - provenienti da Siria, Eritrea, Nuova Guinea, Nigeria, Pakistan e Afghanistan - la famiglia Zanboua, di Yarmuk, il campo profughi a sud di Damasco assediato e conquistato dai miliziani del cosiddetto Stato islamico. Papà Muhanad, trentadue anni, ha ancora negli occhi le scene di terrore. Da un altro conflitto è fuggita Nura, venticinquenne eritrea costretta a lasciare gli studi e ad arruolarsi nell'esercito. Storie simili, ma con un unico filo conduttore: scappare dalla violenza, dalla morte, dall'odio. C'è poi l'avventura di Ibraim, un ragazzo della Nuova Guinea, musulmano, che ha rischiato la morte per fame in Libia per andare alla ricerca del padre che lo aveva abbandonato da piccolo.
All'inizio del pranzo, il presidente della comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo, ha rivolto alcune parole di benvenuto al Papa, accanto al quale siedeva l'anziano sacerdote albanese Ernest Simoni Troshani, che ha trascorso ventotto anni in prigione e che lo stesso Francesco aveva abbracciato il 21 settembre 2014, durante il viaggio a Tirana, dopo aver ascoltato la storia della sua persecuzione. Impagliazzo ha anche ricordato il venticinquesimo anniversario dell'elezione di Bartolomeo al patriarcato, sottolineandone il ruolo spirituale all'interno dell'ortodossia d'oriente e occidente.
La giornata assisiate del Pontefice era iniziata verso le 11.30 con l'arrivo, un po' in ritardo sul programma, a Santa Maria degli Angeli. Raggiunto a bordo di un'utilitaria blu il sacro convento, Francesco è stato salutato dalle maggiori autorità religiose convenute ad Assisi, mentre le campane della città suonavano a festa.
Il Papa si è poi recato nel chiostro di Sisto IV dov'erano ad attenderlo oltre duecento persone, tra i quali i rappresentanti delle Chiese e delle religioni mondiali e i vescovi dell'Umbria. Il Papa ha salutato personalmente ciascuno dei rappresentanti presenti, scambiando abbracci e strette di mano. Dopo il pranzo, il Pontefice ha incontrato individualmente il patriarca ecumenico, l'arcivescovo di Canterbury, il patriarca siro ortodosso di Antiochia, l'imam e il rabbino.
Nicola Gobi
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