Lo spirito di Assisi fa sosta a Sarajevo dal 9 all'11 settembre. Assisi fu una grande icona di pace. Lo sarà pure la capitale della Bosnia: l'occasione è quella dei venti anni dal più recente assedio nella storia d'Europa. A quasi cento dalla pallottola che diede inizio alla I guerra mondiale. Sarajevo, città europea nel cui centro storico si incrociano da secoli chiese, moschee, sinagoghe, come a Gerusalemme – così la definì Giovanni Paolo II: «Gerusalemme d'Europa» –. Sarajevo, la città della convivenza e del fallimento della convivenza; Sarajevo è la sfida che è oggi posta di fronte a ogni città. Come essere città di pace? La "tre giorni" di incontri si presenta carica di significato. Tanto più che la cerimonia finale cadrà l'11 settembre. Proprio in quella data e proprio a Sarajevo, dove sono state strumentalizzate durante la guerra, le religioni affermeranno che il futuro è vivere insieme, come dice il titolo dell'Incontro promosso da Sant'Egidio.
Lo diranno le religioni. Lo dice il profondo del cuore umano. Lo dice la Costituzione conciliare Gaudium et spes. A cinquant'anni dal Vaticano II, si tratta di vivere ancora quella responsabilità verso l'intera famiglia umana che fu la cifra del Concilio. La Chiesa e le religioni camminano con l'uomo. Ne condividono l'avventura, le stagioni, e pure questi tempi difficili, poco comprensibili, poco "dominabili". La Chiesa e le religioni vivono anch'esse immerse in quelle rapide della storia di cui parlava Pavel Florenskij: «Siamo nati in una rapida della storia, in un punto di svolta dell'andamento degli avvenimenti storici». È ciò che vive l'umanità oggi, affrontando le nuove rapide della storia. Per superarle ci si barcamena come si può, nelle nostre imbarcazioni individuali o in quelle delle diverse compagini statali. Ma occorre qualcosa di più! Occorrono visioni e ponti. La preghiera per la pace, il dialogo, l'incontro umano, sono ponti gettati sulle rapide della storia.
In Bosnia e dappertutto c'è bisogno di ponti. Penso a Mostar e al dramma di quel ponte che crollava... Chi non costruisce ponti resta preso nei gorghi della divisione. C'è bisogno di ponti. E sta a noi tutti costruirli. Soprattutto a noi cristiani. Non conta se si è importanti o meno, se si è grandi o piccoli. Siamo tutti inadeguati sui grandi orizzonti della globalizzazione. Ma tutti possiamo essere parte di un movimento di avvicinamento e di incontro. Tutti possiamo condividere la grande visione di Wojtyla. Il quale diceva proprio a Sarajevo, 15 anni fa: «Il metodo del dialogo, perseguito con perseveranza e in profondità, deve segnare il rapporto dei cattolici con i fratelli ortodossi e con gli altri fratelli cristiani. Con parola cordiale e atteggiamento sincero i cristiani cerchino poi motivi di incontro e comprensione coi seguaci dell'islam e con gli ebrei. Camminiamo coraggiosamente, come veri fratelli, sulla via della riconciliazione».
Essere cristiani significa amare, servire e difendere l'uomo. È questo lo spirito del Vaticano II. Questo la Chiesa di Sarajevo, a partire dal suo arcivescovo, cardinale Puljic, lo sa e lo testimonia. Vivere con gli altri senza rinunciare alla propria identità, ma ponendola al servizio del bene comune, al servizio dell'uomo. È il messaggio che oggi i cristiani di Sarajevo, Gerusalemme d'Europa e città della Pace, rivolgono ai tanti figli di altre tradizioni religiose.
Andrea Riccardi
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