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19 Septiembre 2016 09:30 | Teatro Metastasio

Intervento di Venance Konan al Panel "Le sfide dell'Africa globale" ad Assisi



Venance Konan


Escritor, director general de "Fraternité Matín". Costa de Marfil

La famosa sentenza dell’agronomo francese René Dumont del 1962, « L’Africa è partita male », mentre questo continente gustava le delizie della sua indipendenza, avrà fatto il suo tempo ? Osservando ciò che quest’Africa rappresenta oggi, il continente della resilienza per eccellenza, e alla luce del modello presentato dai paesi asiatici emergenti, si può azzardare che il sottosviluppo economico del Terzo Mondo non è un dato definitivo. 

Se ci si attiene alle cifre delle istituzioni finanziarie mondiali, senza vanterie, si può vedere l’Africa emergere all’orizzonte. Ricordiamoci che circa quindici anni fa, una grande rivista economica britannica presentava l’Africa come il continente della disperazione. Oggi in molti vedono nell’Africa il nuovo continente in cui tutte le speranze sono legittime. Nella maggior parte dei paesi africani, con esclusione di ciò  che avviene nelle regioni ancora in preda alla guerra civile, al terrorismo cieco di fanatici di  un’altra epoca, o ai  conflitti per mantenere il posto di certi uomini politici che non vogliono, per niente al mondo, mollare il potere che è piovuto loro nelle mani, le speranze di una vita migliore non sono rarissime. E questo embrione di sviluppo si verifica in un contesto in cui il mondo, divenuto quello che è comunemente chiamato « un villaggio globale », punta a « l’integrazione sempre più spinta dei mercati, dei beni, dei servizi, e dei capitali … ». (Rapporto del Fondo monetario internazionale del 20 maggio 1977). L’Africa si colloca  in questa dinamica ? Certamente si, se si capisce la globalizzazione come: « …prima di tutto la presenza del mondo intero nelle nostre vite sia nei prodotti che utilizziamo sia nell’informazione che riceviamo … » ?  Oggi si trovano nei luoghi più reconditi del continente, prodotti americani  come la Coca Cola o i Jeans, prodotti cinesi come le moto o telefoni cellulari dual sim, o prodotti russi  come dei Kalashnikov. Ovunque nel continente, in pieno deserto o nel più piccolo dei villaggi, si trovano cibercaffè, telefoni cellulari o antenne paraboliche che permettono a tutti di connettersi ad internet e al resto del pianeta. Senza dubbio lentamente, forse troppo lentamente, ma sicuramente, l’Africa sta entrando nella  globalizzazione. Ma quali sfide dovrà affrontare in un tale processo? Si potrebbe parlare degli sconvolgimenti che questa connessione col resto del mondo fa subire alle culture locali, ma non ci soffermeremo su questo, perché si potrebbe dire che queste culture africane sono entrate nella globalizzazione dal tempo della colonizzazione. Le città africane in cui vive la maggior parte della popolazione africana sono in maggioranza occidentalizzate, o per lo meno vivono tra due culture:  la locale e quella dell’Occidente. L’Africa, diciamolo, ha già un piede nella globalizzazione. Ci sta facendo entrare il secondo piede, e in questo processo, le sue sfide più importanti ci sembrano essere quelle dell’istruzione, della democrazia, del rispetto dei diritti dell’uomo, dell’energia, dell’ambiente e dell’autosufficienza alimentare. 

 

Nell’epoca delle innovazioni tecnologiche, ci sembra che la sfida dell’istruzione sia la più pregnante. Se l’Africa  è stata presentata come la culla dell’umanità, bisogna rilevare che oggi, essa è il continente con il più gran numero di giovani. E sfortunatamente, questa gioventù è in preda a difficoltà legate alla propria formazione. Il basso tasso di scolarizzazione generale e più in particolare quello delle ragazze in rapporto ai ragazzi, la mancanza  di competenze lavorative dei giovani e i numerosi abbandoni lungo i percorsi scolastici, fanno sì che le ambizioni di innovazione e di riuscita di questa gioventù siano annichilite. Tuttavia alcuni paesi africani, sull’esempio della Costa d’Avorio, hanno reso la scuola obbligatoria per la fascia d’età dai 6 ai 16 anni. Si  capisce che il miglioramento della quantità e della qualità  dell’istruzione, potenziando la formazione e la costruzione di infrastrutture, permetterebbe all’Africa di avere una popolazione più all’altezza delle sfide della globalizzazione, e più capace di giocarvi un ruolo diverso dalla semplice comparsa. La spinta demografica del continente e la giovinezza della sua popolazione possono essere un punto di forza o una bomba a scoppio ritardato, a seconda che questa popolazione sia ben formata o no. L’esempio di alcuni paesi asiatici emergenti, malgrado o grazie a una popolazione in forte aumento, ma ben formata, attesta l’importanza della formazione per raccogliere le sfide della globalizzazione. E nei paesi in preda alla guerra  civile o al terrorismo cieco, coloro che impugnano i Kalashnikov, che sgozzano o si fanno esplodere al mercato sono in genere quelli che, per mancanza di una formazione adeguata, non hanno potuto inserirsi nella società.

Si comprende la sfida dell’istruzione anche alla luce dell’importanza dei diritti dell’uomo, della democrazia e della qualità delle istituzioni. In effetti, come far comprendere al cittadino africano, se non è istruito, che l’organizzazione tradizionale del potere è divenuta obsoleta e che oggi, la modalità di elezione di chi governa esige l’impegno attraverso il voto? Come adottare e applicare leggi che ad esempio vietino i matrimoni precoci o la mutilazione genitale, o come sensibilizzare su certe malattie come HIV/AIDS o il virus Ebola, se coloro ai  quali sono rivolte queste azioni non possono farle proprie, a causa della loro mancanza d’istruzione?

  

Spesso, il continente africano è additato per la sua mancanza di democrazia e per il non-rispetto dei diritti dell’uomo. C’è un ampio spettro di cause dei conflitti socio-politici, dalle modifiche opportuniste delle Costituzioni alla vigilia dell’elezione presidenziale che è la principale, alle contestazioni dei risultati elettorali, passando per l’imprigionamento degli oppositori. E’ messo in risalto in modo molto evidente il problema dell’etica in politica, come quello della morale e della responsabilità sociale della classe politica. Da una parte ci sono i portaborse e i gerarchi del partito al potere, bonzi che vorrebbero essere confermati ad vitam aeternam, dall’altra quelli che, stanchi della lunga e scomoda attesa nell’anticamera del potere, non esitano a fomentare il popolo per imporre la legge della strada, o piuttosto gli eccessi della strada. Dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la libertà del cittadino, il rispetto dei diritti dell’uomo, e soprattutto della donna, il rispetto della libertà d’opinione e di espressione di quest’ultima, come il principio che abbiano luogo elezioni oneste e periodiche col suffragio universale sono valori che costituiscono elementi essenziali della democrazia, in qualunque continente o paese. In un contesto di lotta contro il terrorismo in Nigeria, in Mali, nel Ciad, nel Camerun, nel Niger, in Tunisia, in Libia, in Somalia…, l’erosione dello Stato di diritto e l’escalation dei conflitti armati (Burundi, Sud Sudan, Libia) mettono ancora l’Africa sotto i riflettori. E questo proprio a causa della globalizzazione. Perifrasi del tipo « democrazia alla burundese » o « democrazia alla zimbabwana »  non sono ben viste in questo mondo globalizzato.

Il riscaldamento climatico ha reso il problema dell’ambiente una preoccupazione mondiale. E questo problema è una delle sfide che il continente, ormai globalizzato, dovrà assumersi. La lotta contro il cambiamento climatico, per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e per aumentare la quota di energie rinnovabili potrebbe avere un effetto positivo sulla diminuzione della deforestazione e l’arresto del degrado delle foreste africane. L’Africa, che è il più piccolo inquinatore mondiale è paradossalmente anche il continente che ha più difficoltà a far fronte alle conseguenze drammatiche di questo cambiamento climatico. Ne sono testimonianza le inondazioni ricorrenti nel continente nelle stagioni della pioggia, le siccità, tra le quali quella di metà 2012, considerata come “la peggiore siccità da 60 anni a questa parte”, che ha indebolito l’insieme dell’Africa orientale e privato di cibo 12 milioni di persone in Etiopia, in Kenya e in Somalia. L’ecosistema e la pluviometria sono cambiati enormemente in tutto il continente, e questo ha avuto conseguenze drammatiche sui raccolti e la produttività del bestiame, provocando le migrazioni in gran numero delle popolazioni incapaci di fronteggiare le catastrofi. In questo contesto, il rendimento agricolo africano è il più basso, malgrado progressi nel campo dell’irrigazione e dell’adeguamento delle tecniche contadine. Il riscaldamento climatico, ironicamente, prova che i continenti subiscono in egual misura il furore delle intemperie. E’ la globalizzazione degli effetti perversi dei gas a effetto serra. Il clima ci porta a un’altra sfida in Africa di fronte alla  globalizzazione, quella dell’energia e dell’alimentazione. 

Tenendo conto del numero di persone che non hanno accesso all’energia (più di 640 milioni, ovvero il 40% delle persone, secondo alcune cifre) nel continente, si direbbe, senza un cattivo gioco di parole che l’Africa nera, dove il sole brilla come mille fuochi, è nel buio più nero. Secondo le stime, il consumo di elettricità per abitante in Africa subsahariana (escludendo l’Africa del Sud) è di 180 kWh, contro i 13 000 kWh per abitante negli Stati Uniti e i 6500 kWh in Europa. C’è bisogno di dire che nel campo della sanità, dell’industria, dell’istruzione o semplicemente della vita, l’energia è essenziale ? L’accesso all’elettricità è un fattore di riduzione della povertà e delle disparità tra l’ambiente urbano e i villaggi. L’energia solare come fonte d’energia pulita e gratuita potrebbe essere una alternativa per luoghi isolati che tardano ad essere allacciati alle reti nazionali d’elettricità. L’energia è anche ciò che permette a noi in Africa, come altrove, di essere in contatto con gli altri che condividono con noi l’umanità. 

Numerosi paesi africani hanno una vocazione agricola e ancor oggi le cifre esposte annunciano che più dell’80% della popolazione africana lavora nell’agricoltura. Ma anche qui l’autosufficienza alimentare è una sfida da raccogliere, perché l’Africa è il continente in cui la fame imperversa di più. Allora, l’Africa in piena crescita demografica può placare la propria fame, o meglio, essere il granaio del mondo per quanto riguarda le sue terre coltivabili ? In alcuni paesi africani, le colture da reddito come la gomma, il caffè, il cacao, il cotone, ecc., si sono sviluppate a scapito delle colture alimentari, creando una situazione in cui il continente esporta prodotti che sottostanno alla speculazione e in cui importa prodotti di prima necessità come il riso, il latte, le proteine, ecc. Una delle conseguenze di questo fenomeno è stata la distruzione rapida delle risorse forestali a causa del diboscamento e dello sfruttamento eccessivo delle terre ai fini della produzione di quei prodotti destinati all’esportazione. Un’altra conseguenza di questa situazione è il deterioramento dei sistemi di transumanza del bestiame, provocato dall’utilizzo per la coltivazione delle superfici sempre più estese di terre un tempo riservate al pascolo nella stagione secca.

Come si può dunque constatare, le sfide dell’Africa, ramo mozzato nel bouquet della globalizzazione, sono numerose. Ma le sfide non tolgono per niente al continente il fatto che è oggi percepito come il continente del futuro a cui tutti i “grandi” di questo mondo fanno una corte assidua. « L’Africa, il nostro futuro» avevano scritto nel 2013 i senatori francesi Jeanny Lorgeoux e Jean-Marie Bockel, legittimando così la loro opera: « Questo rapporto è nato da una domanda : prima di tutto sull’evoluzione dell’Africa, ieri presentata come un continente perduto, oggi lodata come il prossimo continente emergente, poi sulla presenza della Francia in questo continente ieri ignorato, oggi ambito ».

La proliferazione dei Summit, Francia-Africa, Cina-Africa, India-Africa, Giappone-Africa, UE/Africa, Africa-Mondo arabo, Stati Uniti-Africa, Turchia-Africa, Brasile-Africa, America del Sud-Africa…e la lista non è esaustiva, è una prova supplementare del fatto che nel concerto dei  continenti che chiamiamo globalizzazione, l’Africa deve suonare il suo spartito. Certo, sotto gli zoom delle macchine fotografiche e delle videocamere del mondo, non è ancora tra i titoli principali se non quando « il suo treno arriva in ritardo », o quando la colpisce una grossa catastrofe, ma il continente è sempre più attrattivo. E lo diventerà ancora di più quando gli Africani capiranno che il loro continente non è maledetto, che la loro povertà non è una fatalità, e quando cominceranno a fecondare la loro terra, non più col loro sangue, ma con il loro sudore.

Vi ringrazio.

 

#peaceispossible #thirstforpeace
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