Certo che lo sappiamo, la pace è l'assenza di conflitti armati, lo dice il vocabolario. Ma se proseguiamo la lettura, troviamo che significa anche serena tranquillità di rapporti e dell'animo. Perfino felicità. Poi guardiamo intorno, consideriamo se questi sono bambini, che vivono nelle periferie degradate delle città e del mondo, privi di cibo, cure, istruzione, speranza: e quanto siano distanti dalla pace; se la globalizzazione che ci sta tanto cambiando e coinvolgendo inevitabilmente tutti riesca a tener fermi certi traguardi che finalmente ci pareva di aver garantito. In particolare, la protezione dell'infanzia, cioè dell'umanità futura.
La pace, la felicità stessa non sono concepibili se in questa umanità si troveranno l'incomprensione reciproca, la non-conoscenza, l'intolleranza, il risentimento suscitato dall'ingiustizia.
Parlarne a Genova, proprio prima di Natale? Abbiamo anche noi le nostre periferie, è vero, vagano anche qui bambini e ragazzi non accompagnati e non identificati; ci sono anche da noi la povertà, l'abbandono scolastico; esiste il fenomeno delle bande giovanili. Soprattutto, anche noi sappiamo come stiano le cose in Africa, in certe zone dell'Asia o del Sudamerica. Più delle cifre valgono le storie: a Napoli, nel 1983 un bambino di nove anni, Gigi C., rimase ucciso durante una sparatoria; l'avevo dimenticato. Nell'agosto 1999 Yaguine e Fodè, due ragazzi guineani di quindici e quattordici anni furono trovati senza vita nel vano del carrello d'un aereo diretto a Bruxelles: avevano con sé una lettera per i "Signori membri e Responsabili dell'Europa" ai quali chiedevano aiuto. Anche di loro mi stavo dimenticando, se non fosse per i miei nipoti che più volte me ne hanno parlato.
Molte altre storie di vita, di sofferenza e di rinascita sono ora scritte nel volume "Alla scuola della pace" che oggi alle 17,30 sarà presentato a Palazzo Ducale per iniziativa della Comunità di Sant'Egidio: quella che ha costruito nel mondo, in 70 Paesi, le scuole della pace. Dalle periferie di Roma a Scampia, in Salvador, nel Malawi, con ferma mitezza la Comunità ha ascoltato, visitato, conosciuto, insegnato; i bambini e i ragazzi hanno scoperto di non essere soli, hanno vinto la paura. L'istruzione li ha liberati da una condizione di schiavitù.
Hanno potuto così comunicare, essere accolti e imparare ad accogliere la diversità, hanno conosciuto l'amicizia. Dall'istruzione dipendono la sopravvivenza, la salute, la dignità individuale e per questo tramite collettiva. L'infanzia ritrova spazio materiale e morale in un tempo che pare talvolta averla relegata in un angolo, insieme con il coraggio della giustizia. Compaiono nel libro le voci di David Maria Turoldo, di don Milani, Umberto Eco, Papa Francesco. Diceva Maria Montessori: «Evitare i conflitti è opera della politica; costruire la pace è opera dell'educazione». E ancora «parlare di un'educazione alla pace in un'epoca critica potrebbe sembrare frutto di una idealità ingenua, ma io credo che la preparazione della pace attraverso l'educazione sia l'opera più efficacemente costruttiva».
Ho molto imparato da questo libro. Le vicende personali s'intrecciano davanti a noi in una dimensione comune. Mi è venuto perfino il pensiero che possa servirci a Genova, in questa vigilia di Natale.
Adriano Sansa
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