Vizepräsidentin der Gemeinschaft Sant’Egidio
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Benvenuti al Panel « dolore dei popoli e vie di pace » di questo nostro incontro interreligioso per la pace. Il nostro incontro si colloca all’interno di un cammino e di un movimento che possiamo chiamare « lo spirito di Assisi » di ormai 27 anni. Il beato Papa Giovanni Paolo II ha dato ai leader religiosi un compito per favorire la pace, quando nello storico 27 ottobre 1986 disse: “La pace attende i suoi artefici. Tendiamo le nostre mani verso i nostri fratelli e sorelle, per incoraggiarli a costruire la pace sui quattro pilastri della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà. La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale: essa passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana”.
I tempi sono cambiati dal 1986 ad oggi, ma ciò che era l’intuizione di Assisi, che le religioni hanno un’arma segreta per contribuire alla pace tra i popoli, è diventata una convinzione consolidata negli anni. Vorrei ricordare qui le parole del Professore Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, all’ultimo incontro di Preghiera per la pace a Sarajevo (11 settembre 2012): “Guardiamo al futuro senza paura! Ma prepariamo il futuro nella simpatia tra i popoli. Guardiamo al futuro senza lasciarci paralizzare dalle paure del passato! Ci vogliono coraggio e speranza per preparare un futuro di vita comune in pace.[...] Possiamo trasmettere a tutti una convinzione, maturata attraverso il contatto con il dolore di tanti e l’esperienza di numerosi popoli: che la guerra è un male, che la violenza mai può essere giustificata in nome di Dio. Il dialogo può aiutare a risolvere problemi insormontabili. Abbiamo una visione serena e sicura: è una visione antica e nuovissima. Siamo un riferimento – lo è lo spirito di Assisi – nella pluralità delle nostre religioni: un riferimento di pace”.
In questi anni trascorsi insieme, uomini e donne di religioni e culture diverse hanno sempre avuto il coraggio di scendere nelle piaghe più dolorose della sofferenza umana della storia, per trovare le ragioni dell’incontro, del dialogo, della forza, della preghiera ed infine della pace, come dice il titolo del nostro panel di oggi “Dolore dei popoli e vie di pace”. Papa Francesco nel suo invito per la giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria dello scorso 7 settembre ha detto: «Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà! E’ un forte e pressante invito che rivolgo all’intera Chiesa Cattolica, ma che estendo a tutti i cristiani di altre Confessioni, agli uomini e donne di ogni Religione e anche a quei fratelli e sorelle che non credono: la pace è un bene che supera ogni barriera, perché è un bene di tutta l’umanità. Ripeto a voce alta: non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace”.
Una convinzione dello «spirito di Assisi» è che le religioni devono collocarsi dentro la storia ed interessarsi ai dolori dei popoli. Per questo hanno il compito di offrire all’umanità una visione del futuro, o come dice il titolo del nostro convegno di questo anno, «Il coraggio della speranza». Questa mattina abbiamo dei testimoni privilegiati davanti a noi, che ci introdurranno nell’abisso del dolore del loro popolo per contribuire al disegno di nuove vie di pace.
Diamo per primo la parola al cardinale Puljic, arcivescovo della Bosnia-Herzegovina, e ricordiamo con affetto l’accoglienza calorosa che egli ha offerto al nostro incontro interreligioso per la pace «Living together is the future». Egli viene dalla sofferenza di essere stato il pastore di un popolo in guerra, è sopravvissuto a tre attentati, ma ha trovato la sua forza nella preghiera, nella vicinanza alla sua gente e nella consolazione che è stata suscitata dal ricordo di tutta la chiesa. Quando era nella tristezza con la sua gente l’8 settembre 1994 perché in quel giorno non era permessa la visita tanto desiderata di Papa Giovanni Paolo II a Sarajevo, ricevette all’improvviso una telefonata con cui il Santo Padre gli esprimeva la sua vicinanza.
Da Sarajevo andiamo a Parigi, con il contributo del Prof. Guggenheim dell’Institut des Bernardins, istituzione che vuole essere, nella chiesa cattolica, un «think tank» al crocevia della storia e dell’umanità. Da un anno il suo istituto ha affidato ad Andrea Riccardi una cattedra per sviluppare un pensiero su «cristianesimo e globalizzazione»
Passiamo ora al popolo armeno che ha terribilmente sofferto ormai quasi 100 anni fa nel genocidio che provocò centinaia di migliaia di morti, e che fatica ancor oggi a trovare posto nella memoria comune dei popoli. Inoltre, l’arcivescovo armeno ortodosso Armash Nalbandian viene dalla Siria, paese tanto provato da una guerra civile che sembra non trovare una via d’uscita.
Adesso andiamo in Germania per ascoltare una donna di valore, Rita Prigmore, che ha ella stessa, da bambina zingara, sofferto la follia dell’ideologia razzista durante il regime nazista. Con una forte volontà di vivere, è miracolosamente sopravvissuta agli esperimenti che i medici nazisti praticavano sui gemelli.
E’ diventata una testimone preziosa della follia dell’antigitanismo e lotta per un mondo in cui le persone vivano insieme; ha preso la parola in molti convegni di giovani europei di Sant’Egidio per incoraggiarli nel loro impegno per un mondo senza razzismo e violenza.
Ed ora ho l’onore di presentare il Rabbino David Rosen dell’American Jewish Congress of Israel, che è ben noto al nostro uditorio, poiché partecipa sin dall’inizio ai nostri incontri di Preghiera per la Pace. Ha avuto il coraggio di far crescere lo spirito di Assisi nel mondo ebraico. Come rabbino ha molta familiarità con la Thora e la tradizione ebraica, ma ci ricorda anche il più terribile abisso della storia del ventesimo secolo, lo sterminio del popolo ebraico nella Shoah e il pericolo persistente dell’antisemitismo.
E, last but not least, andiamo ad oriente, dando la parola al venerabile U. Uttara, monaco Buddista del Myanmar. Con base a Londra, è segretario dell’International Burmese Monks Organization, un’organizzazione che tra i suoi fini la creazione di rapporti positivi con le altre religioni. Ha sperimentato personalmente il dramma della mancanza di libertà civile e religiosa nel proprio paese.
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