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7 September 2015 16:30 | Tirana International Hotel

Intervento di Mauro Gambetti



Mauro Gambetti


Custodian of the Sacred Convent of Assisi, Italy

 “Perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo” (Mt 23,9)
A cinquanta anni dalla Nostra aetate lo spirito di Assisi nel mondo globale


1. Il concilio e Nostra aetate
La dichiarazione sulle religioni non cristiane, Nostra aetate, approvata il 28 ottobre 1965, quando il concilio era oramai ben saldo nel consenso raggiunto e stava volgendo alla conclusione, espande i paragrafi 16 e 17 di Lumen gentium, nei quali si delineava uno dei tratti dell’identità costitutiva della chiesa: la relazione con gli altri. Oltre alla chiesa, infatti, l’unico disegno di salvezza coinvolge gli ebrei, coloro che riconoscono il Creatore e in particolare i musulmani, che professano la fede di Abramo, i credenti di altre religioni e tutti coloro che cercano in vario modo il “Dio ignoto”. In questo unico progetto di salvezza la chiesa ha il compito di testimoniare il Vangelo, nel quale l’umanità di Gesù diventa la via d’accesso al mistero di Dio cui tutti guardano. Così, dal momento che gli esseri umani intravvedono la luce divina nella propria esperienza umana e si avvicinano a Dio, la chiesa, che è segno e strumento della comunione cui Dio chiama tutti, non può che comprendersi come rivolta ad essi.
Nostra aetate riprende ed espande tali contenuti, affermando che la chiesa, fedele alla propria indole di essere segno della comunione con Dio e dell’unità del genere umano(LG1), provocata dall’unificazione che l’umanità sta vivendo, pone attenzione alle religioni proprio per promuovere la carità e l’unità fra i popoli, cominciando ad esaminare “tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino”(NAe1). L’unica condizione umana viene interrogata dalla coscienza degli uomini e le diverse religioni testimoniano le risposte che l’uomo dà a tale interrogare. In Cristo, poi, si riconosce la pienezza dell’uomo e dell’esperienza religiosa. Il testo procede quindi con la ricerca degli elementi buoni presenti nell’Islam, invitando a dimenticare i contrasti del passato. Lo sguardo positivo che il Vaticano II rivolge alle esperienze religiose in vista di un autentico dialogo non poteva, però, che guardare all’ebraismo, cui NAe dedica il paragrafo più lungo, come al primo interlocutore. Infatti, il cristianesimo crede che nell’ebreo Gesù di Nazareth si dia il compimento di tutte le promesse fatte da Dio ad Israele e la pienezza dell’alleanza stretta con esso e mai revocata. Nostra aetate si chiude, poi, smentendo ogni fondamento religioso a divisioni e discriminazioni, dal momento che non può considerare Dio come padre colui che non considera tutti gli uomini come fratelli.
Proprio nel rapporto fra Israele e la chiesa nascente, la fede cristiana si rivela strutturalmente capace di accogliere diverse esperienze di Dio e così il Vangelo appare come un racconto inclusivo di altri racconti, perché si gioca sull’umanità di Gesù, che è la stessa umanità di tutti.

2. Cinquanta anni di dialogo
Se qualche passo per il dialogo fra le religioni era stato fatto dalla chiesa cattolica anche prima, è stato il concilio a dare al dialogo un indubbio vigore in pieno clima di guerra fredda. Questo è accaduto non solo per le posizioni teoriche espresse dal concilio, ma anche per la presenza in esso di osservatori di altre religioni: l’incontro e il dialogo erano già cominciati. Ancora a concilio aperto (19 maggio 1964) Paolo VI istituì il Segretariato per i non cristiani (dal 1988 Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso) con il preciso scopo di promuovere conoscenza e stima reciproche fra chiesa e religioni. Da allora le iniziative di dialogo e di confronto si sono moltiplicate, prendendo una duplice direzione: riflessione e preghiera da una parte, concreta collaborazione per il servizio al mondo dall’altra. Fra i numerosi incontri di preghiera ricordiamo la giornata di preghiera per la pace voluta da Giovanni Paolo II ad Assisi il 27 ottobre 1986. Da questo evento paradigmatico è sorto quello “spirito di Assisi” che determinò i successivi incontri, fra i quali ricordiamo quelli di Roma nel 1999 e, di nuovo ad Assisi, nel 2011.
Da questi eventi, come dalla miriade di iniziative locali e internazionali, promosse dalle istituzioni religiose e da numerose organizzazioni e movimenti, emerge chiaramente come, mentre l’esperienza religiosa di chi usa violenza è inautentica poiché inquinata dall’egoismo e dall’odio, le esperienze religiose autenticamente vissute sono capaci di riconoscere l’amore di Dio riversato su tutti e quindi di condurre alla pace.

3. Oggi, lo “spirito di Assisi”
Il contenuto profetico della dichiarazione conciliare, appare oggi particolarmente significativo ed attuale. L’unificazione del genere umano che 50 anni fa era in nuce, ha raggiunto un’intensità allora impensabile; al contempo, nei paesi aderenti all’ONU l’uguale dignità degli esseri umani è sancita anche giuridicamente dalla Carta dei diritti dell’uomo e, fatta eccezione per le posizioni irrazionali caratterizzanti ogni forma di fanatismo ed assolutismo, è ormai patrimonio comune il valore attribuito al dialogo, per favorire la conoscenza reciproca, il rispetto delle credenze e delle culture e la ricerca di soluzioni utili alla pacifica convivenza. Quanto annualmente è promosso dalla Comunità di S. Egidio – e che si realizza con il concorso di tutti noi che conveniamo ad appuntamenti come quello odierno – è una prova tangibile del cammino compiuto.
All’interno di questo percorso, lo “spirito di Assisi” sembra compendiare in sé il messaggio e la speranza conciliari, ben rappresentati nella dichiarazione Nostra aetate: ogni religione come anche l’esperienza dei non credenti, sulla quale si ferma più volte la costituzione pastorale Gaudium et spes, getta un bagliore sulle vicende umane che contribuisce a rischiarare e comprendere la realtà, per orientare ogni scelta al bene, sia esso inerente alla relazione con le altre persone che con l’ambiente. Mi piace applicare a quanto stiamo vivendo oggi le parole di Papa Francesco contenute nella sua ultima Lettera enciclica sulla cura della casa comune: “Dovremmo riconoscere che le soluzioni non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali del popoli, all’arte, alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità. Se si vuole veramente costruire un’ecologia che ci permetta di riparare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio” (Laudato si’ 63). Lo stesso vale al fine di costruire una società globale che rispetti ed onori ogni essere umano, ponendolo in condizione di esprimere il dono che egli è.
In tal senso, lo “spirito di Assisi” rappresenta un valore aggiunto nella ricerca della fraternità universale, un concetto squisitamente evangelico che in realtà si rivela essere patrimonio condiviso dalle tradizioni religiose e dagli uomini di buona volontà.
Al riguardo basti qui un breve cenno all’incontro di Francesco d’Assisi con il Sultano di Babilonia. Nel luogo e al tempo in cui Francesco è vissuto la chiesa non doveva confrontarsi con il pluralismo religioso, né esisteva altro paradigma per rapportarsi ai non cristiani che difendersi da essi o tentare di convertirli. Ecco perché, secondo la versione della Legenda maior di Bonaventura, quando Francesco si mette in viaggio per incontrare il Sultano, intende convertirlo, secondo Tommaso da Celano invece intende cercare il martirio, certo di trovare nell’altro da evangelizzare un nemico pronto ad ucciderlo.
Fra i due, però, accade tutt’altro. Il ritorno di Francesco con i doni del Sultano (tra i quali si conserva ancora il corno) e le indicazioni che si trovano nella Regola in merito alla predicazione ci permettono di intuire gli atteggiamenti vissuti dall’uno e dall’altro. Frate Francesco non si è presentato in modo tracotante o litigioso, né pronto al giudizio, ma in modo mite, pacifico, modesto, mansueto e umile, parlando con onestà – ovvero senza doppiezza di cuore, con lealtà e trasparenza (cf. Regola bollata, c. III; Regola non Bollata, c. XVI). Davanti a questo stile dell’uomo tutto evangelico il Sultano deve essere rimasto affascinato: non solo non uccide Francesco ma lo onora. Non si converte, resta altro, ma si pone in ascolto e lo rispetta, tanto da porre gesti di amicizia: così si realizza la pace fra i due. In fin dei conti, si tratta di un incontro fra due credenti autentici: rimangono ciascuno certo della propria fede, ma uniti dalla possibilità di riconoscere nell’altro un fratello pieno di dignità e di bellezza. Una fede autenticamente vissuta àncora la coscienza della persona alla dimensione spirituale e schiude l’orizzonte dell’esperienza umana alla fratellanza: tutti siamo fratelli, perché tutti siamo figli dell’unico Dio.
La stessa prospettiva si apre per coloro che, pur essendo a-religiosi, vivono autenticamente l’esperienza umana e possono facilmente riconoscere la medesima e basilare uguaglianza: gli esseri umani hanno un’unica origine, vivono la stessa realtà e hanno un unico fine. Infatti, fra i due termini certi per tutti, della nascita (unica l’origine: Dio, la terra) e della morte (unico il fine: la terra, Dio), sta la medesima condizione fragile, bella e ammalata, del corpo e dell’anima, che ci accompagna e ci accomuna.
Nello “spirito di Assisi”, continuamente ci proponiamo di abbracciarla per aprire nuovi orizzonti, come quello che intravvide Francesco dopo l’incontro con il lebbroso. Non più la via del cavaliere ammirato dalle genti, ma un nuovo progetto di vita libera e piena, come quello di Gesù: essere fratello di tutti, piccolo con tutti, perché il mio fratello è uguale a me. 

4. In cammino nel mondo globale
Religioni e pace non sembrano andare d’accordo. Laicità e pace sembrano non convergere, e spesso i popoli in pace con le nazioni vicine trovano al loro interno motivi di conflittualità. Si è visto continuamente nella storia: la visione religiosa è totalizzante e quindi può innescare un conflitto radicale con altre visioni totalizzanti fino alla guerra. Lo stesso può accadere quando una visione laicista dello Stato porta ad una assolutizzazione del potere e dell’istituzione. Tale aberrazione continua ancora oggi, frutto di devianze dell’esperienza religiosa o di deliranti forme di onnipotenza serpeggianti nel popolo e nei governanti delle nazioni. Usare violenza o infrangere la pace dichiara di per sé l’inautenticità e il declino, tanto dell’esperienza religiosa quanto dell’esperienza umana.
Al contrario, in modo precipuo, l’esperienza religiosa, quando autenticamente vissuta e sviluppata, è una risorsa incomparabile per costruire la pace, in quanto pone l’essere umano in un orizzonte spirituale che gli permette di interpretare la realtà e indirizzare il proprio agire, riconoscendo il mondo “come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale”(Laudato si’ 76).  Se questo è vero, si può concludere che prendersi cura delle religioni, del loro sviluppo, della purificazione da ogni devianza che minaccia di allontanarle dalla dimensione spirituale, sia un servizio fondamentale per la pace. Se infatti le religioni vengono ridotte ad una osservanza di pratiche o strumentalizzate da poteri che hanno interesse ad utilizzarne la capacità motivante per scopi contrari alla religione stessa, la pace si trova gravemente minacciata, come purtroppo ci appare fin troppo di frequente.
Come cristiani possiamo fare la nostra parte cominciando da noi. Innanzitutto riscoprendo, come l’ultimo concilio ha inteso fare sotto ogni punto di vista, che l’altro per la chiesa non è mai un problema, anzi l’altro è il motivo per cui la chiesa esiste, colui a cui essa è rivolta. L’altro che incontro è pieno di valore, bello, prezioso. L’invito al dialogo non è, dunque, una strategia atta a convincere l’altro delle mie ragioni, ma il mio sguardo incantato sulla sua esperienza unica. Tale sguardo mi conduce alla sua bellezza e quindi all’amore per lui e proprio l’amore mi spinge a donargli ciò che abbiamo di più caro, ovvero il Vangelo: il racconto capace di includere la sua esperienza umana e che non esclude mai nessuno. Noi cristiani attingiamo dal patrimonio dell’umanità la vicenda umana singolare di Gesù di Nazareth, ci confrontiamo con essa per seguire lui sulla via dell’amore che ha tracciato e questa vicenda proponiamo a tutti, perché accessibile e comprensibile a tutti proprio in quanto umana. Tutti infatti condividiamo la medesima umanità, che è anche l’umanità di Gesù.
Per questo, ha senso approfondire sempre più insieme le tematiche che appaiono importanti per il bene dell’umanità intera a partire dalla visione antropologica, sociologica e spirituale di tutte le credenze religiose (e a-religiose), fino a giungere ad offrire un messaggio comune al mondo. Infatti un’autentica esperienza umana e religiosa, promossa dall’incontro, dal dialogo e dalla preghiera, diviene un servizio per ogni essere umano: favorisce la pace, perché mostra l’evidenza dell’unica fraternità costituita da tutti gli uomini e le donne; dispone alla cura dell’ambiente, perché riconosce il mondo come donato; indirizza lo sviluppo in modo sostenibile, perché coglie la realtà umana nella sua interezza e non la riduce ad occasione di mero profitto; difende la vita di ciascuno a cominciare dai più deboli, perché uno solo è il Padre nei cieli e noi siamo tutti fratelli.
 

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