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30 Septiembre 2013 09:00 | Sala Newman, Universidad Urbaniana

Cristiani e musulmani: la cultura del convivere



Paul Youssef Matar


Arzobispo católico maronita, Líbano
Introduzione
Se il convivere è considerato in questo titolo come un prodotto della cultura, questo avviene perché esso non è, secondo un’ipotesi sottesa al titolo stesso, un semplice dato della natura o della spontaneità. Per la Teologia Cristiana, la dispersione dei popoli e le loro ostilità sono stati il diretto risultato del peccato originale e dell’oblio di Dio. La torre di Babele è il segno più evidente di questo. Allo stesso modo, e di conseguenza, il recupero della convivenza deve passare attraverso la redenzione divina della storia e la riabilitazione della fraternità, già intaccata dal sangue del primo fratello ucciso dal proprio fratello. 
A questo proposito, i Cristiani non hanno una difficoltà teorica a raccomandare la fraternità o la convivialità universale. Tuttavia, nella pratica devono collaborare con tutti gli uomini di buona volontà per ricostruire e consolidare ogni giorno questa convivialità. Basta guardare l’evoluzione dell’Europa moderna per constatare l’ampiezza di questo compito, vista la quantità di odio che si è riversata sui popoli, arrivando a falciare, in una successione di guerre, più di cento milioni di persone tutti fratelli nella fede. 
Lo scopo di questa introduzione è segnalare già dall’avvio della nostra riflessione che il convivere non è la missione di un solo popolo o di una sola religione; che esso è, al contrario, la responsabilità di tutta la collettività umana riunita attorno allo stesso ideale e chiamata a realizzarlo, grazie ad una forza morale che incita al dialogo e crede fermamente nell’alterità.
Il titolo stesso dato alla nostra riflessione, e che evoca l’apporto dell’Islam nella costruzione della convivenza, suggerisce anche su questo punto che la cultura del Vivere Insieme ha bisogno del concorso di tutte le religioni e di tutte le ideologie per essere confermata nella realtà e adottata dalle più ampie cerchia di umanità.
 
1- L’essenza dell’Islam
Si pone qui una problematica precisa in rapporto alla crescita dell’Islam nei paesi arabi e in alcuni paesi vicini. Il Medio Oriente era pronto per molti osservatori a ingaggiare un processo di democratizzazione che permettesse alle forze vive in ciascuno dei suoi Stati di prendere in mano il proprio destino grazie ad un maggior rispetto della reciprocità. Siamo stati purtroppo disorientati dallo sviluppo che hanno preso gli avvenimenti in maniera imprevista. Accanto ai movimenti liberali che hanno avuto l’audacia di chiedere conto ai loro governanti, sono scese in campo forze islamiste per imporre la propria ideologia. 
In questo momento, due gruppi di musulmani sono emersi nella nostra regione: un gruppo estremista detto salafita o « takfiri » che propugna il ritorno al passato, alla fase in cui l’Islam dominava tutta la regione, e ritiene necessario, nel nome della sua fede, considerare gli altri infedeli o condannati; e un altro gruppo moderato che crede alle istituzioni instaurate in strutture statali simili per lo più a quelle delle democrazie diffuse nel mondo. I conflitti scoppiati tra questi due gruppi, e il rischio del rifiuto dell’altro ispirato dal salafismo, hanno entrambi creato un disagio in molti spiriti. Così gli ambienti intellettuali hanno provato grande spavento davanti all’influenza negativa del conflitto intermusulmano sul progresso della convivenza. A partire da questo stato di cose, l’apporto dell’Islam alla cultura della convivenza è ritornato sulla scena. Giunge oggi al nostro consesso, suscitando il nostro interrogativo sul divenire di questa convivenza che sta a cuore a tutti noi.
Per rispondere a tale domanda sul ruolo dell’Islam nella costruzione della convivialità, è necessario conoscere in primo luogo l’Islam nella sua essenza, poi nella sua esistenza sociale. E’ una conoscenza che dovrebbe occupare tutto l’Oriente e tutto l’Occidente se vogliamo arrivare ad un mondo aperto e umanizzato. Simile ricerca esula evidentemente dal quadro dei nostri interventi di oggi. Sarebbe però opportuno fissare qui alcuni paletti sulle strade di una migliore conoscenza delle nostre religioni che convivono insieme dai loro primi incontri.
La religione musulmana è nata in Arabia quando Cristianesimo e Ebraismo vi erano già diffusi. Teniamo a segnalare a questo proposito che il profeta dell’Islam nutriva sentimenti positivi rispetto alle «Genti del Libro» e soprattutto verso i Cristiani. E’ ben noto che il profeta ha accolto dei Cristiani nella sua casa, che li ha autorizzati a pregare in casa sua. E’ anche successo che dei Cristiani poveri abbiano ricevuto un aiuto finanziario dalla cassa comune riservata ai Musulmani.
Pensiamo che questi gesti del profeta siano fondanti per tutti quelli che credono nell’Islam, che questi sono considerati come regole di comportamento che impongono a tutti i musulmani, ovunque e sempre, atteggiamenti simili. Così vediamo che l’Islam strutturale, o Islam originale, offre un fattore comune che unifica i musulmani e li illumina nei loro impegni nel corso della storia.
Allo stesso modo, leggiamo nel Corano delle sure che sono di natura tale da guidare ogni musulmano nella sua ricerca di un atteggiamento religioso autentico verso la convivenza. Tra queste sure, segnaliamo quella in cui Dio si rivolge a tutti gli uomini dicendo: «Vi abbiamo creati, popoli diversi e tribù, perché vi conosciate gli uni gli altri». Questa conoscenza reciproca è dunque considerata un obiettivo della creazione degli uomini, diversi e vari. Dio vuole che questi uomini si accettino e si completino gli uni gli altri. In questa sentenza del Corano, non è posta nessuna condizione preliminare per praticare questa conoscenza. Non vi si pone neppure la possibilità che possano essere esclusi da questo atto di conoscenza né gli infedeli né i peccatori. Il Corano dice allora espressamente che il più rispettabile degli uomini è colui il quale teme Dio e si distingue per la sua pietà.
D’altronde il Corano segnala che tutti gli uomini sono giudicati da Dio alla fine della loro vita. L’Islam predica, come il Cristianesimo, la ricompensa e il castigo divini. Tuttavia, non vi è mai detto che il giudizio possa essere delegato da Dio a qualcuno degli uomini. «Non c’è altro Dio che Dio». E’ dunque l’Unico Giudice dei vivi e dei morti. Come si può allora concepire che ci siano nel nome di Dio dei giudici minori di Dio stesso, e che si mettono a castigare al posto di Dio? Vorremmo citare qui una frase illuminante di Père Michel HAYEK, uno dei più grandi islamologi moderni, in cui ricusa a chiunque il diritto di presentarsi come l’ombra di Dio sulla terra. Dice allora questo: «Dio è soltanto luce, non c’è dunque in lui né da lui alcuna ombra possibile».
In questo stesso spirito possiamo continuare la lettura del Corano in cui troviamo soprattutto che Dio si rivolge a coloro i quali sono in disaccordo tra loro su delle verità teologiche complesse dicendo che le dirimerà lui stesso nel Giorno della Resurrezione. 
Di conseguenza l’Islam delle origini, o Islam strutturale, fonda un’umanità conviviale e solidale. Questa religione è effettivamente una religione universale e dell’universale. Come si può dunque arrivare fino a tollerare o imporre il giudizio di un essere umano da parte di un altro essere umano? Non parliamo qui di tribunali giudiziari che condannano determinate azioni, perché questo è legittimo, ma del giudizio di un essere umano a causa della sua fede o della sua coscienza. Quando leggiamo ancora nel Corano delle sure che giustificano la libertà religiosa, diventiamo ancora più convinti di questa visione delle cose. Vi leggiamo infatti : «Colui il quale vuole credere, creda, e colui il quale non vuole crede, non creda». Il suo giudizio è presso Dio solo e non presso gli esseri umani che sono suoi simili. 
Dopo la lettura del Corano o della Scrittura, si può anche evocare la prima tradizione dell’Islam. Su questo punto siamo felici di riconoscere che la prima conquista musulmana abbia registrato una vera tolleranza verso le «Genti del Libro». I primi califfi e i primi responsabili militari davano ordine di preservare i Cristiani e le loro proprietà. Rispettavano il loro culto e le loro chiese. Proteggevano anche queste chiese, a condizione certo che le Genti del Libro rispettassero la nuova autorità. In questa stessa condizione, le Genti del Libro erano dispensate dal partecipare alla guerra e potevano attendere alle loro attività in tutta libertà. L’esempio del Califfo Omar è celebrato su questo punto, quando questo grande capo rifiutò di pregare nella chiesa della Resurrezione a Gerusalemme perché i suoi non cercassero un giorno di trasformarla in moschea.
E’ questo che chiamiamo Islam delle origini. E se bisogna tornare al movimento salafita del passato, è a questo passato che bisogno tornare per primo, e non a degli episodi tardivi che contraddicono il Corano e le sue prime applicazioni. Questo annuncia la seconda parte di questo nostro intervento. 
 
2- L’Islam e gli eventi attuali 
In tutta sincerità, c’è un grande problema di divergenze tra la filosofia della convivialità e i movimenti detti «salafiti» o «takfiris». Tuttavia consideriamo necessario e indispensabile estendere il dialogo fino a queste cerchie rigoriste. Nel Medioevo esisteva un’opzione riguardo la soluzione dei problemi politici e sociali a partire dall’Islam stesso e non in riferimento ai soli valori occidentali. Questa opzione è certo legittima perché ogni popolo ha diritto alla propria identità religiosa, sociale e nazionale. Ma bisogna per questo imporre le proprie idee a tutti senza altra forma di processo? E se queste idee sono imposte anche ai musulmani che non le accettano, si può dire che è tutto l’Islam che le adotta o che le predica agli altri?
Di fronte alla situazione attuale del Medio Oriente in cui movimenti «salafiti» si attivano a diffondersi in tutte le società, crediamo necessario prendere sul serio le loro rivendicazioni, procedere poi ad un dialogo inter-musulmano che sarà seguito da un dialogo con il cristianesimo e altre religioni, ad oriente come ad occidente della terra. Poiché se è detto nel Corano che la Umma islamica è una Umma di condivisione (wassat), questo vuol dire che l’Islam non dovrebbe tagliare i rapporti con nessun categoria umana. Vorremmo qui invitare sinceramente ad un dialogo inter-musulmano, tra i Sunniti stessi, poi tra Sunniti e Sciiti; in tal modo ogni divergenza tra queste confessioni potrebbe essere chiarita a partire dal bisogno che l’ha fatta nascere. Si arriverebbe così ad una migliore comprensione di tutti da parte di tutti. Lo Sciismo in sé non è un’uscita dall’Islam, ma un desiderio di mantenere un Islam puro e senza errori. Allo stesso modo, il Sunnismo è noto per la sua volontà di mantenere assolutamente il deposito della fede lontano da ogni interpretazione individuale. Di conseguenza la parola giusta e retta (kalimat sawa’) afferma che è una fortuna per i musulmani ritrovarsi nella stessa fede e portare insieme le stesse responsabilità. Ogni linguaggio delle armi tra le confessioni è proibito da Dio e rifiutato da tutti gli uomini di buona volontà. In un contesto simile, l’Islam giocherà certamente il proprio ruolo storico ed efficace nell’edificazione della convivialità. 
   Per conseguire questo scopo, il dialogo è necessario anche, come abbiamo detto prima, tra l’Islam e le altre religioni. Noi cristiani abbiamo accolto con molta speranza l’ultimo Sinodo dei Vescovi in Vaticano per la regione del Medio Oriente. In questo sinodo, due idee-chiave sono state messe in rilievo, la  «mouwatanat» (concittadinanza) e la libertà di coscienza. Queste due idee sono essenziali per creare una convivenza umana durevole e valida. La concittadinanza sarà davvero il segno di ogni vera comunità di destino e di ogni partecipazione reale per gestire questo destino. L’Islam, nella sua essenza, accetta questa partecipazione, soprattutto a livello dei « mou’amalates » che si distinguono dagli «ibadates». Infatti gli «mou’amalate », o relazioni sociali tra i cittadini, si svolgono nella legalità tra tutti, mentre le «ibadates», o atti di adorazione, sono libere e nessuno ha il diritto di immischiarsi nella fede degli altri. 
   Ma abbiamo noi oggi il diritto di sognare in Oriente a società conviviali composte da più culture e religioni ? Questo sogno non è soltanto per noi un diritto, è un dovere che incombe su noi tutti.
   Dobbiamo tutti armarci di fiducia e di pazienza perché si dissipino le nuvole del presente e perché siano date delle possibilità a un’accoglienza positiva di tutte le diverse eredità religiose che appartengono alla nostra religione. Il Concilio Vaticano II ha chiesto ai cristiani di stare mano nella mano con i musulmani, e noi non vogliamo mai ritirare la nostra mano da questa relazione. L’esperienza libanese della convivenza, malgrado tutte le difficoltà attraverso le quali è passata da quattordici secoli a questa parte, resta promettente di un vero incontro islamo-cristiano nella dignità e l’eguaglianza per tutti. Abbiamo così l’audacia di dire che l’Islam di oggi ritroverà la sua unità e il suo slancio di misericordia. Ritroverà tutte le forze necessarie all’appoggio della convivialità. Vi occuperà anzi un posto determinante. 
   Senza sottrarvi altro tempo prezioso, vorremmo affermare che il Cristianesimo e l’Islam, i cui adepti rappresentano la metà dell’umanità, sono con il loro incontro e la loro universalità capaci di cooperare a cambiare la faccia della terra. Non perdiamo allora le occasioni di progredire. L’umanità ne ha bisogno. Insieme serviremo Dio e instaureremo la giustizia, insieme aiuteremo l’umanità a camminare verso la sua salvezza. Questo è più di un appello, è una speranza infinita che Dio mette nei nostri cuori, e una delle promesse che non bisogna lasciar cadere dalle nostre mani.
   
 


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