Biografia scritta a mano da Fabio Lo Surdo e da lui dettata a Cristina Cannelli per essere digitata al computer. Albano 21 luglio 2007. Alla fine risponde ad alcune domande riguardanti le sue opere.
[Fabio Lo Surdo è nato a Roma il 20 luglio 1956. Si definisce jazzista, giallista, poeta e, chiaramente, artista. Sua madre si chiamava Velia]
Velia durante il fascio faceva il capo staffetta, passando nelle linee nemiche forniva informazioni ai partigiani. Lei e le sue amiche si facevano gli anelli con gli ossi delle pesche. Nonna Augusta diceva che era nata femmina per sbaglio. Nonno Orlando era ebanista e quando gli chiedevano di smontare un infisso diceva “io sono ebanista, mi si rovinano le mani”. Mi chiederete una cosa più che logica: in che arma stava. E’ stato bersagliere. Ora mi tocca parlare di babbo: è stato morsista quando gli inglesi lo fecero prigioniero ad Alamein. Dopo aver conosciuto il padre di Velia divenne pure lui ebanista, ma era anche un ballerino nato (tango valzer e boogie boogie di Glenn Miller). Ma me lo sono goduto pochissimo (è morto che avevo 6 anni, nel 62). Ho il massimo rispetto per tutti e quattro (Velia, Arcangelo [il padre], nonno Orlando e nonna Augusta) perché li ho persi tutti. Ma quando scrivo i gialli sono più vivi che mai. Senza battibecco con tutti e quattro il giallo non è un giallo di Fabio (attenti alle imitazioni). Mi sono goduto poco babbo, prima per la polio (che in quegli anni fece una vera strage, ci sono pure quelli che ci sono morti). Babbo c’aveva mal di cuore, poi gli è toccato a mamma. Una parte del mio cuore non ci sta più, perché loro sono morti. Me li piango ancora ma allo stesso tempo sono più vivi che mai. Se sto a scrivere di loro e di me stesso è segno che gli ho voluto un bene senza paragoni. Io mio padre lo paragonerei a Gesù, infatti gli amici lo chiamavano Pargoletto cioè bimbo, perché non diceva mai una parolaccia. Mia madrea barava a scacchi e lui gli diceva: “Sabbacona mia (che non so che vuol dire manco io), la torre va dritta e non per obliquo come l’alfiere”. Babbo lo chiamavano Pargoletto perché quando l’operarono al cuore non disse neanche una parolaccia, neanche stupido. Su babbo non scherzo, dico solo la verità. Chi erano secondo voi i suoi amici? Lui lavorava al Centro di Smistamento Autovetture ATAC del Tiburtino ed erano i suoi amici che lo chiamavano Pargoletto e così lo chiamo anche io nei gialli.
Ma prima di arrivare ai gialli e alla pittura: chi è Fabio? Che idee politiche ha, come la pensa? (con la rottura di un partito fondato da Gramsci in Italia su idee di Igor Vassili Ulianov - nome di battaglia Lenin - ) e poi: gli interventi alle gambe, lo spirito di combattere per il sociale, lo spirito di un comunista nato.
Mi farete una domanda più che lecita: perché scrivi gialli? Due motivazioni: primo perché piacevano pure a Velia, secondo perché il neurologo, quando gli chiesi come uccidere le crisi epilettiche, mi rispose “Leggi, scrivi, disegna, devi avere il cervello occupato 24 ore su 24”.
Mamma fece di tutto per farmi camminare. Ebbene io riuscivo a camminare con i tutori e le canadesi, volete sapere che facevo? Andavo avanti e indietro da Viale Ionio a Viale Giulio Cesare per comprare i dischi. Prima la passione per il rock, quello del Beatles, dei Rolling Stones e altri per poi passare al jazz (del calibro di Parker, Mingus, Davis, Coltrane, Coleman e altri). Questo quando ancora era viva mamma.
Pittura: Mia madre vedendo i miei disegni, non tanto perfetti, ora in bianco e nero ora a pennarelli, dopo aver conosciuto Cristina Cannelli, disegnatrice e amante dell’arte, che fa parte di S.E., mi ha mandato da lei in modo che mi perfezionassi nel disegno e ovviamente nella pittura. Certo che i nomi da citare de gli amici sono molti, ma non sono un computer, quindi ne citerò uno per tutti: Angela Cerbara.
Parlami della tua esperienza alla scuola di pittura.
La prima volta che sono andato mi sono trovato bene, si lavorava in pace, se chiedevo non aspettavo, avevo subito una risposta. Sono stato contento.
Io un periodo sono stato paesaggista e facevo gli alberi in negativo, cioè il fondo era blu e l’albero in bianco, con molti rami. Ero partito da una cosa di Mondrian dopo ho continuato per conto mio, facevo vedere che un albero senza radici non può stare in piedi, e così facevo anche tante radici. Ne ho fatto uno con la neve (che poi lo vedono a casa mia e lo vogliono tutti).
E tu il quadro non lo dai?
Eh no, lo vogliono gratis e quindi me lo tengo.
Era un notturno con l’albero spoglio, la neve e le radici e la neve cadeva fitta fitta. Da un colore si passa ad un altro. Per me è stata la prima esperienza con i colori forti.
Che mi dici della tua opera “Underground”?
Io vedo Roma non sopra, anche perché prima che la fai tutta è troppo grande, ma da sotto, dai cavi del computer, dai tubi, gli allacci dell’ACEA. Una cosa che amo, non perché voglio i soldi, è che sia ben valutato; quando per gli altri non è una crosta, sotto sotto sono contento, perché me lo valutano.
Questa è la prima volta che devo fare una mia biografia perché non me l’aspettavo che la Lux era interessata a me e anche agli altri. Andrò sempre avanti, anche se non sarò mai un Picasso o un Vincent [Van Gogh], l’arte mi piace perché quasi si può dire che l’arte è la mia droga, sennò vedi tutto piatto, tutto scolorito. L’arte è vita, senza vita il mondo che sarebbe?