Biografia a cura della madre, autorizzata da Hirseyo
Hirseyo è nata a Roma il 3 marzo 1985 da una famiglia di somali emigrati in Italia. A 11 mesi viene ricoverata in un istituto a Lecce, dove il padre si era trasferito per lavoro, perché affetta da handicap. Torna a Roma a un anno e mezzo e i due anni successivi li trascorre tra l’IPAI (Istituto Provinciale Assistenza all’Infanzia), dove la Comunità di Sant’Egidio la incontra per la prima volta, e l’ospedale pediatrico Bambin Gesù. Non è stata fatta ancora una diagnosi precisa: idrocefalia, epilessia, carenze di crescita dovute all’ernia iatale che le ha impedito una regolare nutrizione? I dubbi sono tanti. Addirittura, vista l’assenza di linguaggio verbale, si pensa che Hirseyo non abbia la capacità di relazionarsi con gli altri. Oggi sappiamo che Hirseyo ha una tetraparesi spastica con leucomalacia cerebrale che ha compromesso in modo totale l’espressione verbale e l’autosufficienza.
Quando i genitori adottivi nel 1988 la portano ad un controllo in un centro specializzato nel nord Italia, i medici ipotizzano una sofferenza perinatale dovuta a una situazione di disidratazione della madre durante la gravidanza. La chiamano “mal d’Africa” e si sorprendono molto alla notizia che Hirseyo è nata a Roma. La cura prescritta, che si rivela la più efficace, è “pizza e coccole”. Dopo un anno di cura anche il cervello di Hirseyo ne ha tratto grandi benefici, evidenti dalla TAC.
La nuova famiglia si rivela decisiva: Hirseyo vuole bene a tutti, ma soprattutto sa di essere amata. E’ questo che la rende felice e le dà la speranza di poter superare tanti ostacoli. Prima di tutto quelli della comunicazione. Hirseyo comunica soprattutto il suo affetto con baci e carezze. E’ piccola e le piace stare in braccio a tutti, soprattutto a papà. Con i gesti Hirseyo tenta anche di comunicare qualcosa di più, ciò che le piace e ciò che non le va di fare. A Hirseyo piacciono molto i films di cartoons; ride sempre al momento giusto e sospira nei momenti più commoventi, soprattutto quando guarda il suo preferito: Alla ricerca di Nemo. I familiari e gli amici cominciano allora a comprendere che lei capisce molto di più di quanto i medici hanno ipotizzato.
La vera svolta, però, avviene quando con il metodo della “comunicazione aumentativa” Hirseyo comincia a scrivere al computer grazie all’intervento di una logoterapista. Alla felicità si accompagna anche lo stupore. Questa ragazzina, infatti, a cui è stato diagnosticato un danno nell’area cerebrale che presiede le funzioni dell’astrazione delle idee e del linguaggio, subito dopo i primi tentativi di scrittura di parole elementari, come papà - mamma - tavolo - sedia, scrive: “Tu sai che io certe volte non riesco a parlare”. Quando la logoterapista, le chiede: “Perché, cosa ti senti?”, lei aggiunge: “Che non ho la voce. Quando torna la voce salto dalla gioia”. Chi la conosce sa che, quando è felice, Hirseyo effettivamente salta.
Quando trova un metodo per esprimersi Hirseyo sta per compiere dodici anni e frequenta la quinta elementare in una scuola pubblica. Non è facile convincere le maestre che quella ragazzina così evidentemente affetta da handicap, che quando le parli sembra che guardi da un’altra parte e che non riesca a fare attenzione, negli anni in cui è stata inserita in una classe “normale” ha imparato a leggere, a scrivere e a fare i conti,anche se nessuno ha tentato con lei un insegnamento pari a quello dell’intera classe. Hirseyo se ne rende conto e si confida: “La mia voce parla pensando, parla scrivendo, parla subito, parla più di quanto lo sa la mia maestra. Parla meglio se tu mi puoi aiutare”. Ma intanto i genitori sembrano illusi, fiduciosi in un recupero improbabile.
Hirseyo non si scoraggia e continua a studiare, anche se il percorso non è sempre facile. Prende la licenza media e alle superiori sceglie un liceo scientifico tecnologico, perché è “forte” in matematica. Purtroppo mentre la legge prevede l’inserimento di persone affette da handicap anche gravi come Hirseyo nelle scuole, poi manca il personale specializzato. E se non c’è chi sa fare esprimere Hirseyo nell’orario scolastico, a qualche insegnante capita addirittura di pensare che i compiti a casa glieli faccia qualcun altro. Così tra molte difficoltà e qualche apprezzamento Hirseyo prende la maturità e si iscrive all’università. E’ felice, ma anche spaventata. Scrive ai genitori: “Non staremo un po’ esagerando con questa normalità?”.
Fin dall’inizio Hirseyo rivela che le interessa quello che succede nel mondo, e soprattutto in Africa. Segue le notizie del telegiornale, e quando prende in mano un giornale non è solo per giocarci: quando la mamma trova una vecchia fotografia di una vacanza al mare in cui si vede Hirseyo seduta al bar che “legge” un quotidiano, lei comincia a ridere di gusto. La madre allora le chiede quali ricordi la facciano tanto ridere e lei scrive: “Rido perché voi ancora non sapevate che so leggere”.
Più volte chiede di poter andare in Somalia, il suo paese di origine, perché, anche se è nata a Roma, Hirseyo si sente africana. Purtroppo, vista la situazione di guerra e di instabilità nel paese questo suo desiderio ancora non si è potuto realizzare.
Quest’anno Hirseyo ha saputo che chi vive per strada ha sempre maggiori difficoltà. Chiede di andare a trovare qualcuno, “perché potrei portare un ciambellone tradizionale, che io lo so fare”. Prima dell’incontro scrive le sue domande sulla vita per strada. Conosce così Ruggero. Poi commenta: “Sono andata per aiutare e Ruggero mi ha fatto capire che si può essere felici anche nelle difficoltà. L’amicizia può liberare da ogni tristezza”.
Infatti i ricordi tristi raramente emergono in Hirseyo, anche se si capisce che ci sono. Al compleanno di Giovanni, uno dei suoi amici più cari, gli scrive: “Tu sei il mio primo amico sereno, perché sei il primo bambino che ho conosciuto che non gridava. In istituto la notte tutti urlavano”. Ma soprattutto è l’esperienza dell’ospedale a farle paura. Infatti, anche dopo i ricoveri dei primi anni, ha dovuto affrontare parecchie operazioni chirurgiche, soprattutto alle gambe per allungare i tendini in modo da poter poggiare i piedi per terra e, seppure con un sostegno, camminare. Alla prima operazione, in ospedale è triste e spaventata. Quando finalmente si torna a casa, appena sale in macchina comincia a battere le mani. Ha quattro anni e mezzo.
Da sette anni Hirseyo fa parte del Movimento degli Amici e questo la rende felice. Quando ne parla, ne parla sempre come della gioia di essere amati. Sugli altri, che con lei fanno parte de Gli Amici a Tor Bella Monaca, scrive: “I miei amici sono tutti fittamente sostenuti perché non tutti hanno una bella famiglia come me”. E aggiunge: “Io gioisco tutte le feste. Ho goduto il regalo più prezioso. E’ la gioia di gustare un eterno amore. Gli amici offrono a tutti il più importante segreto della vita. La debolezza non infelicita, ma la solitudine fa anche morire”.
Oggi Hirseyo frequenta l’Università. Ha scelto un corso di laurea in “Storia del territorio, politica e cooperazione internazionale”, perché le interessa l’antropologia, per capire, come lei scrive, “i motivi dei comportamenti umani”, ma anche studiare la storia, i diritti umani, l’ambiente. L’inserimento finalmente è stato felice. Ai primi esami ha avuto ottimi voti, mai meno di venticinque e anche qualche trenta. Viste le difficoltà precedenti nell’inserimento scolastico, è lei la prima a essere stupita. Ironicamente commenta: “Mai mi credevo che mi avrebbero dato più di diciotto!”